«La sua pittura è un tale ammasso di lasciato e di fatto, di falso e di vero, che bisogna prenderlo com’è. E non ci vuotare il capo a farci sopra delle teorie; né si può dire che quando siete davanti a un suo lavoro, possiate non guardarlo, egli affascina, vi corbella, vi mette il capo sottosopra; sentite che quella faccenda che avete sotto gli occhi è una profanazione della vostra divinità, ma purtuttavia ci trovate gusto, lo gnomo vi inviluppa, vi sbalordisce, vi incanta, le vostre teorie se ne vanno, ed egli ha vinto»
Diego_Martelli
Il viaggio dell’arte, quello iniziato da Giovanni Boldini nel 1864 lasciando Ferrara alla volta di Firenze, fu di sola andata e dal capoluogo toscano lo condusse a Londra e, infine, a Parigi, dove si trasferì e risiedette fino alla morte avvenuta nel 1931.
L’innata curiosità di Boldini ma soprattutto la brama di riscattarsi e evadere dall’ambiente provinciale, quale era ai suoi occhi la Ferrara dell’epoca, indussero Boldini a emigrare, alla ricerca di un confronto continuo, di nuove occasioni di ispirazione e, in particolare, alla scoperta della sua vera dimensione di artista e, ancor più, di uomo.
A Firenze Boldini giunse nel 1864 per intercessione del padre, anch’egli pittore, copista e restauratore, che lo raccomandò a Michele Gordigiani, allora il più affermato ritrattista dell’entourage toscano e non solo.
Il piccolo Zanin, enfant prodige dell’arte, riscuotendo ammirazione per le qualità di fine ritrattista, riuscì facilmente a inserirsi nell’ambiente fiorentino, dove subì il fascino degli effetti eleganti e vaporosi della pittura di Gordigiani ed entrò in contatto con Banti e con i giovani novatori del Caffè Michelangelo.
Giovanni Boldini partecipò ai fermenti intellettuali che animavano allora gli spiriti liberi e ribelli dei Macchiaioli, divenendo ben presto uno dei principali protagonisti del movimento: comprese con immediatezza le opportunità offerte da quella costruzione dell’impianto luministico estremamente semplificata e del tutto nuova.
I Macchiaioli, già dal 1856, erano infatti impegnati in un ammodernamento della pittura basato sull’osservazione diretta della natura da trascrivere nella sua essenzialità espressiva attraverso un largo e potente fraseggio di luci e ombre, restituendo una speciale forza ottica capace di trasmettere verosimiglianza e vitalità al soggetto.
Castiglioncello, in particolare la tenuta di Diego Martelli dove anche Boldini soggiornò con gli amici pittori, e soprattutto l’ambiente artistico della cosiddetta Scuola di Piagentina furono i luoghi filosofici della cifra stilistica del pittore ferrarese in questi anni toscani.
Alla Promotrice fiorentina del 1866 Boldini espose quattro piccoli ritratti di personaggi rappresentati in ambienti domestici, di concezione completamente inedita, che furono recensiti l’anno seguente da Signorini con queste parole: “I ritratti sono fin qui fatti con una massima sola, cioè dovevano avere un fondo unito il più possibile per staccare e non disturbare la testa del ritrattato; precetto ridicolo e lo dice il sig. Boldini, con i suoi ritratti che hanno un fondo, ciò che presenta lo studio di quadri, stampe ed altri oggetti attaccati al muro, senza che per questo la testa del ritrattato ne scapiti per nulla” (T. Signorini, Della esposizione della Società Promotrice di Belle Arti in Firenze, in “Gazzettino delle Arti del Disegno”, 1867).
Giovanni Boldini si dimostrò quindi, fin dai primi anni di attività, capace di innovazioni e di repentine trasformazioni estetiche destinate a suggestionare parte dei pittori ritrattisti dell’epoca, primo fra tutti proprio l’amico e suo recensore Telemaco Signorini che di lì a poco dipinse due quadri di identica impostazione, come Aspettando e Non potendo aspettare.
A Firenze l’artista entrò in contatto con l’aristocrazia locale che gli procurava proficue commissioni e, in particolare, con la nobile inglese Isabella Falconer, la quale divenne per qualche anno sua mecenate ospitandolo nella villetta La Falconiera, a Collegigliato, nella campagna di Pistoia. Qui Boldini, sotto la sua protezione, poteva lavorare osservando i dolci declivi del paesaggio circostante. All’epoca Boldini frequentava anche Marcellin Desboutin presso la villa dell’Ombrellino a Firenze dove il drammaturgo, pittore e incisore francese aveva costituito un vero e proprio avamposto della cultura d’oltralpe contemporanea ospitandovi gli artisti francesi di passaggio a Firenze.
Negli stessi anni nel capoluogo toscano venne aperta al pubblico la collezione d’arte del principe russo Anatolio Demidoff, che raccoglieva opere d’arte contemporanea provenienti dai Salon parigini.
I modi innatamente aristocratici, la vocazione alla mondanità e agli ambienti altolocati ma anche le grandi prospettive di carriera e la voglia di ottenere un riconoscimento economico adeguato per il suo lavoro spinsero Giovanni Boldini nel 1871 a lasciare Firenze per soggiornare qualche mese a Londra e poi trasferirsi definitivamente a Parigi, dove era già andato in visita nel 1867 in compagnia di un amico greco della signora Falconer, passando anche per Milano, Arona e la Svizzera, mentre nel 1868 era stato a Mentone.
Giunto nella capitale britannica Boldini fece scalpore, guadagnandosi la stima delle nobili famiglie nelle quali era stato introdotto da sir Cornwallis-West. A Londra Giovanni Boldini, dove risiedeva al n. 14 di Brunswick Square, ospite del mercante d’arte Reitlinger, incontrò D’Ancona e lavorò costantemente eseguendo numerosi ritratti per la nobiltà inglese. A giugno sir Cornwallis-West lo spinse a trasferirsi nel suo studio al n. 49 di Eaton Place, spostandosi periodicamente in campagna nel castello di West ma il fascino dell’ambiente frizzante della Ville Lumière costituì per lui un’attrazione davvero fatale, tanto da indurlo a rientrare improvvisamente a Parigi. “Credo che non verrò più a Firenze [scrisse poi all’amico Cristiano Banti nel 1871], sono troppo impegnato con Parigi. Ho un’amante qui da far venire l’acqua alla bocca, è troppo bella, è troppo buona, è troppo amabile, quindi mi sarebbe impossibile di lasciarla per ora. Forse più tardi, ma che vuoi, qui ho uno studio magnifico, ho tutti i confortavili della vita, lavoro molto e mi diverto, e poi ho mandato al diavolo Reitlinger, perché è un mercante meschino per me, ho preso Goupil il quale mi dà danaro quanto ne voglio e poi questo ha la bellissima qualità di far mussare gli artisti a tutta oltranza, per cui impossibile con lui essere sconosciuti” (Boldini Mon Amour, catalogo della mostra, Montecatini Terme, Terme Tamerici, 18 settembre–30 dicembre 2008, a cura di T. Panconi, con presentazione del Ministro per i Beni e le Attività Culturali S. Bondi e contributi critici di L. Angiolino, Pisa 2008, p. 47).
A Parigi Boldini conobbe la modella Berthè, con la quale intraprese una storia d’amore durata più di dieci anni, e instaurò rapporti di lavoro con il mercante d’arte Goupil, il più importante dell’epoca con gallerie sparse in tutto il mondo. Entrò così nella folta schiera degli artisti della sua cerchia, dei quali divenne ben presto il più apprezzato. Parigi fu per Giovanni Boldini la vera mecca dell’arte e della vita: attraverso la contessa Gabrielle de Rasty, che divenne sua amante sul finire della relazione con Berthè, entrò in contatto con l’alta borghesia e con la nobiltà cittadina, introducendosi negli ambienti più esclusivi, consentendogli di ottenere il tanto atteso benessere economico.
Nel 1874 Boldini raggiunse per un breve periodo l’Italia, nell’estate dell’anno successivo lavorò a Versailles e nel 1877 annunciò un viaggio di tre mesi che lo condusse a Bougival, poi in Normandia e in Spagna; nel 1979 fu a E’tretat e nel 1880 andò in Olanda, mentre nel dicembre del 1884 lo sappiamo presente a Nizza alla prima della Aida e a Natale a Genova, da dove proseguì per Firenze. In Toscana, nel 1885, fu ospite dell’amico Banti, stringendo una tenera intesa sentimentale con la figlia Alaide e di lì si recò a Napoli e l’anno dopo, da Parigi, in Germania e Svizzera, probabilmente dal banchiere Veil-Picard.
Nel 1887 Boldini visitò Venezia e Milano con l’amico Henry Poidatz e nel 1888 compì nuovamente un viaggio in Italia, toccando Rimini, Ferrara, Firenze, Roma, Sant’Agata, dove incontrò Verdi, e infine Bologna.
In questi stessi anni crebbe la sua fama e ritrasse molti illustri personaggi dell’epoca, fra i quali proprio Giuseppe Verdi. Essendosi venuto a creare un vero e proprio “caso Boldini”, a Parigi non c’era gentildonna che non volesse essere ritratta da lui: “Le donne di Boldini sono nature flessuose e disinibite che mostrano senza reticenza un modello di bellezza erudito e, spogliandosi, affermano la loro autodeterminazione di individui maturi ed emancipati, pienamente consapevoli della propria femminilità. Nature fantastiche e conturbanti raggiungono eccitate lo studio dell’artista, impazienti di sfuggire al protocollo dei loro palazzi, di slacciare i rigidi corpetti di stecche di balena, per abbandonarsi, libere finalmente, nel tepore del boudoir, di sentirsi loro stesse protagoniste, ammirate e soprattutto comprese, di fronte al “fauno”, a quel piccolo uomo al quale non sanno tacere i loro più reconditi desideri. Boldini non le giudica, perché giudicarle significherebbe rinnegare la sua natura dissoluta ma, anzi, le incoraggia a esprimersi, raccoglie le loro confessioni, le loro angosce e le induce a riflettere sulla fatuità del tempo e dell’amore che vive di un solo attimo. L’artista sa cogliere al volo quel momento, quello irripetibile, in cui la bellezza appare più sfolgorante e in cui le sue muse si mostrano più disinvolte e naturali. Eppure questi ritratti ricolmi di tanta bellezza sono spesso perturbati da un senso di provvisorietà, che aleggia velata, che freme nell’aria e negli sguardi ora struggenti, ora superbi o malinconici, di femmine insoddisfatte e irrequiete, colpevoli di vanità, complici compiaciute e sopraffatte da quella immagine certamente sconveniente che il genio italiano darà di loro. L’artista esalta il loro ego ritraendole spesso soltanto un attimo prima che, sopraggiungendo l’autunno della vita, la loro bellezza appassisca per sempre, che le loro foglie di rose profumate comincino a cadere. A volte, come uno stregone, raccoglie i fragili petali e con un gesto d’amore ricompone quei fiori appassiti restituendogli un attimo di eterna primavera” (T. Panconi in: “Il Tremisse pistoiese”, Pistoia, 2008).
I viaggi furono per Giovanni Boldini motivo di continue sollecitazioni visive e emotive e i luoghi che frequentò costituirono spesso il crogiuolo dei suoi affetti e delle amicizie che coltivava fra gli artisti come fra i personaggi più in vista della società, alla costante ricerca di un soggetto da ritrarre e sempre e comunque in funzione dell’attività di artista che fu davvero la sua più profonda ragione di vita.
Giovanni Boldini amava frequentare luoghi diversi e in particolare ci teneva a far ritorno, appena poteva, a Firenze dall’amico di sempre Banti e da sua figlia Alaide, con la quale rimase in contatto per tutta la vita.
Partendo da Parigi, i suoi viaggi si susseguivano freneticamente: nel 1889 si recò a Trouville e a settembre in Spagna – dove era già stato nel 1877 – e in Marocco con Degas, passando per Madrid, Granata, Tangeri e, visitando il museo del Prado, manifestando ammirazione per l’opera di Velàzquez. Tra le mete privilegiate c’era la Costa Azzurra che frequentava assiduamente, come le altre ricercate località balneari della Francia; nell’estate del 1890 si trovava con Helleu a Trouville e nello stesso anno fu anche a Verona.
Nel 1891 Boldini si recò a Londra e poi ancora in Italia – a Bologna, Brescia e Venezia – tornandovi l’anno seguente per lavorare all’autoritratto commissionatogli dalla Galleria degli Uffizi che eseguì a casa di Banti; con quest’ultimo, insieme a Luigi Nono, andò poi a Perugia, proseguendo per Roma con Nino Costa.
Nel febbraio del 1893 fu a Milano per assistere alla prima del Falstaff, poi soggiornò brevemente a Palermo e in ottobre, ancora in Italia – a Bologna, Venezia, Trieste – e infine a Vienna.
Nel 1894 il sindaco di Venezia Riccardo Selvatico lo volle nel comitato patrocinatore della prima rassegna biennale d’arte, inaugurata nel 1895. Quello stesso anno compì un viaggio a Londra dove visitò la mostra del fraterno amico Helleu, poi da Parigi si recò nuovamente a Venezia e in seguito a Berlino per vedere l’esposizione di belle arti e dove eseguì il ritratto di Menzel.
Fra la primavera e l’inverno del 1897 Boldini fece più volte visita ai Veil-Picard a Besançon. Trascorse il mese di luglio a Londra e in agosto andò in vacanza ad Aix-les-Bains. Accettando l’invito di Antonio Fredaletto, a settembre tornò a Venezia per far parte del giurì della Biennale.
A novembre giunse New York, dove tenne una personale alla galleria Wildenstein e fu invitato a prendere parte a una rappresentazione al Metropolitan Theatre, dove una grande scritta e una gigantografia di un suo quadro di Versailles informarono della sua presenza il pubblico che lo accolse con fragorosi applausi.
Una grave malattia lo costrinse a letto e a rientrare a Parigi nell’aprile del 1898. In agosto era nuovamente in viaggio: a Saint-Moritz e in ottobre a Trieste.
Nel giugno 1899 Boldini fu a Siena, per poi trascorrere le vacanze estive in Engadina, a Venezia e a Pietroburgo.
Nel 1900 si imbarcò per una crociera sullo yacht di Gordon Bennet e, dopo, trascorse parte dell’estate a Saint-Moritz.
Nel marzo del 1901 fu ospite dei Florio a Palermo, dove eseguì il discusso Ritratto di donna Florio che appare con un’ampia scollatura, circostanza che provocò l’aspro risentimento del marito della ritrattata.
Nel luglio del 1902 Boldini potrebbe aver trascorso qualche giorno a Londra, dove fu certamente nel 1903 dal momento che da lì inviò una lettera ad Alaide Banti chiedendola in sposa, sebbene il matrimonio non fu mai celebrato.
Nel 1905 Giovanni Boldini passò l’estate a Wittel. Nel 1906 fu ad Avignone, due anni dopo a Tolosa, a Bordeaux e sui Pirenei, poi di nuovo in Italia. Nell’estate del 1909 si recò a Pougues-les-Eaux per sottoporsi alle cure termali, poi a Venezia, Milano e Torino. Nel 1910 e nel 1912 ancora in Italia, questa volta a Venezia. Nel giugno 1914 partecipò alla mostra della Secessione romana.
Nel 1915, scoppiata la prima guerra mondiale, si recò a Londra, Nizza, Glasgow e in Spagna.
Questi furono anni nei quali frequentò più assiduamente la Costa Azzurra. Avendo registrato un forte peggioramento della vista, non poté invece tornare a Ferrara, com’era sua intenzione.
Nel 1923 fu la volta di Rouen e a Lamalou e nel 1924 la Bretagna, l’anno successivo Cannes e nel 1926 Cabourg.
Una controversa storia d’amore caratterizzò l’ultima fase della vita di Giovanni Boldini: si invaghì infatti della giornalista Emilia Cardona, trentenne, e la sposò nel 1929.
Un rapporto di affetto, più che di amore, probabilmente legò l’ottantasettenne pittore alla giovane Emilia, tanto che presto il fuoco della giovinezza la spinse a un rapporto extraconiugale con lo scultore calabrese Francesco La Monaca. Da questa relazione – conoscenza restituita alla biografia boldiniana poiché risultante da un epistolario da noi recentemente riscoperto – ebbe anche, all’insaputa del marito ormai quasi del tutto cieco, una figlia, data in adozione per evitare scandali.
Molti anni dopo la Cardona, ormai morto anche La Monaca che aveva sposato l’anno seguente alla scomparsa di Giovanni Boldini, divenendone sua ricchissima ereditiera, cercò con tutti i mezzi di rintracciare la figlia, mai più vista, scrivendo anche al sindaco di Parigi, imbattendosi però nel fermo diniego dello Stato francese.
La salute di Boldini peggiorò nel 1930: nonostante le affettuose cure della moglie, la morte sopraggiunse l’11 gennaio del 1931 per il riacutizzarsi della broncopolmonite. Secondo la sua volontà le sue spoglie compirono l’ultimo viaggio, quello verso il cimitero della natia Ferrara, dove Boldini fu seppellito e ancora giace.
Da Tiziano Panconi “Giovanni Boldini, un geniale antipatico”, in L’Ottocento indagini etiche e estitche pe ril collezionista d’arte, Pacini, Pisa, 2005